Coltivare la terra per salvarla
Negli ultimi 30 anni sono rimasti incolti circa 3 milioni di ettari di terreni agricoli: spazi che un tempo erano curati e mantenuti per il sostentamento della famiglia. Oggi, dalle nuove generazioni, ereditare un terreno agricolo è un impegno scomodo e dispendioso. Più di un milione di agricoltori, negli anni ’80, hanno abbandonato le campagne per sperare in un
futuro migliore nelle grandi città. Ancora oggi, il possesso di un terreno agricolo è considerato poco redditizio. Questo spopolamento ha lasciato il nostro territorio privo di cure ed attenzioni.
Qualunque forma di coltivazione necessita di un buon governo delle acque, queste attività legate alla 'regimazione' delle acque si traducono nelle tanto auspicate azioni di manutenzione e di presidio del territorio, che comportano una sensibile riduzione dell'esposizione dei versanti al rischio di frana e dei fondovalle al rischio di alluvioni. Anche il diffondersi di malattie botaniche distruttive, che stanno cambiando la fisionomia di paesaggi tipici italici può essere ricondotto, oltre che al cambiamento climatico e alla globalizzazione, all’assenza di potatura, di taglio dell’erba e trattamenti periodici delle colture arboree. Queste attività, semplici ma costanti, consentivano di avere un maggiore controllo su un territorio, per certi versi impervio, come quello italiano. La presenza umana del contadino al lavoro nei propri campi è da considerarsi come un presidio costante sul territorio, in funzione anche del bene comune, inteso come miglioramento dell’aspetto paesaggistico, manutenzione ordinaria, controllo e correzione dei dissesti geologici semplici. L’invecchiamento della popolazione generale ha contribuito ancora più alla perdita di questo patrimonio umano indispensabile a garantire un buono stato di mantenimento del territorio nazionale.
Un ripopolamento attivo dei territori agricoli, con giovani imprenditori e coltivatori diretti, determinerebbe una nuova e più ordinata configurazione paesaggistica, preziosa per lo stato di salute del nostro territorio per gran parte abbandonato all’incuria. Questa nuova generazione dovrà, però, saper dosare le attività umane, nel rispetto della natura, evitando un eccesso di meccanizzazione agricola, colture intensive in aree non adatte o che necessitano di lavorazione profonda del terreno con conseguenti smottamenti geologici.
Per questo, il Dott. Marchetti, giovane medico chirurgo, con grande spirito di sacrificio e laboriosità, malgrado le insidie dei tempi, tenacemente porta avanti il suo progetto di coltivazione e produzione etica di prodotti alimentari sani, che rispecchino la sua attenzione verso la prevenzione ma anche una tutela attenta del paesaggio a cui è tanto legato affettivamente.
Silvia Barrucco
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